Mario D’Onofrio alla Fotografia come elemento centrale della propria vita è arrivato percorrendo strade trasversali, talvolta accidentate, che lo hanno reso, uomo maturo, un fotografo infine consapevole.
La fotografia, che lo ha accompagnato sin da giovanissimo, è quindi diventata lo strumento con cui guardare e restituire il mondo dalla sua prospettiva: orientato sempre ad indagare lo scorrere della normalità riassunta nelle sue cose minime, nei dettagli, convinto di rinvenirvi l’essenza, il vero gusto dell’esistenza. Una certa fotografia con tale peculiarità, ripropostasi e impostasi negli anni Novanta, è stata definita come “della banalità del quotidiano”, che però rivela una sua tranquillizzante bellezza oltre ad essere evocativa: ecco, è questa la Fotografia di Mario D’Onofrio, che è quindi interessato a immortalare e a restituirci “tutto quel mondo che ci circonda da vicino, il nostro piccolo grande mondo, quel mondo che ci dice chi siamo, e che ci tiene caldo” (scrive) ma riuscendo a fornircelo attraverso immagini che riesce a spogliare da ogni emotività sturm und drang, espressionistica.
Il suo sguardo, la sua sensibilità fotografica, il rapporto con le luci e il colore, e con il tempo, soprattutto, che pure hanno profonde radici italiane, sono mutati una volta in Inghilterra, in questo territorio d’affezione dove si è trasferito da anni e dove ha costruito una parte della sua nuova vita; qui le sue immagini hanno via via assunto un carattere tutto britannico, di luoghi di provincia o comunque lontani dalla “London calling”, e si sono maggiormente fuse con il territorio, soprattutto nelle tonalità e nei contrasti, e in quella sospensione spaziotemporale rarefatta, che rallenta, “nell’attesa,mentre la vita sta succedendo”.