Napoli ha una grande e antica tradizione fotografica: basti considerare che qui nel 1558 fu sperimentata la camera oscura – da Giovan Battista della Porta – e che già nel 1845 arrivarono prime pubblicazioni dedicate. Archivi fotografici, riviste, festival, studiosi di settore e una quantità di fotoamatori e fotografi animano da sempre la scena napoletana; in questo vivace contesto si è formato Salvatore De Rosa, osservatore a 360° del suo vissuto territorio che qui ci mostra nella particolarità di Scampia, nell’area nord della città, considerata periferia, tra i quartieri Secondigliano, Miano e Piscinola. Cuore di Scampia i sette edifici a forma triangolare, dette per questo “le Vele”, concepiti negli anni ’60 in linea con altre progettazioni di grandi complessi residenziali pubblici ma qui con l’ambizione di richiamare architettonicamente e urbanisticamente il paesaggio dei più reticolari vicoli di Napoli; questo brutalista,utopico territorio nel territorio, però, dopo il terremoto del 1980 è divenuto, tristemente, quel fortino della camorra di cui ha ampiamente raccontato Roberto Saviano. Il degrado e la Gomorra sono stati contrastati decidendo l’abbattimento proprio del fortino, ovvero delle Vele dell’architetto Franz Di Salvo, demolite a partire 1997 all’interno di un’ampia visione di riqualificazione urbana e sociale.
Ma Scampia non è solo il simbolo del cuore nero di Napoli, in quella generalizzazione che anche grandi fotografi hanno denunciato mostrando (uno tra tutti: Luciano Ferrara): lo fa anche il nostro Salvatore De Rosa che tra i camminamenti, le finestre e i balconi, gli anfratti e altri spazi raccolti ne individua l’anima a colori: bambini che giocano, persone in osservazione o affaccendati sono ciò che sostanzia quel territorio di cui l’autore sa raccontare la problematicità ma anche il calore, una certa bellezza (quella filosofica estetica della rovina) e quella dignità e voglia di resistenza e riscatto tanto bene indicate visivamente dal graffitista Jorit che lì ha lasciato il proprio contributo riassumibile in uno stralcio di “Lettere luterane” di Pier Paolo Pasolini [“Sii allegro./T’insegneranno a non splendere./E tu splendi, invece.”].